Niente mediazione obbligatoria per chiedere la risoluzione del leasing immobiliare
Il Tribunale di Milano confermando una sua precedente pronuncia (sentenza del 13/11/2019), ha stabilito che l’esperimento della procedura di mediazione ex D.Lgs. n. 28/2010, non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale volta a far dichiarare la risoluzione di un contratto di leasing immobiliare.
La Corte Milanese anche in questa occasione ha richiamato un consolidato orientamento della Corte di Cassazione (Cass. 15 giugno 2018 n. 15200; Cass. 22 novembre 2019 n. 30520; Cass. 13 maggio 2021 n. 12883), in base al quale “in tema di condizione di procedibilità relativa all'esperimento della mediazione ex art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, il riferimento della norma ai contratti "bancari e finanziari" contiene un chiaro richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB (d.lgs. n. 385 del 1993), nonché alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (d.lgs. n. 58 del 1998), sicché non è estensibile alla diversa ipotesi del leasing immobiliare, anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento, specificamente funzionali, però, all'acquisto ovvero alla utilizzazione dello specifico bene coinvolto”.
L’ambito di applicazione dell’art. 5 comma 1 bis, nella parte in cui si riferisce ai contratti bancari e finanziari, va dunque circoscritto ai soli contratti riconducibili a queste fattispecie negoziali e quindi, secondo quanto chiarito a suo tempo dai giudici di legittimità, «ai contratti bancari, e non, più generalmente, "stipulati con un istituto di credito"; così come ai contratti finanziari, e non, più generalmente, a contratti "con finalità di finanziamento" anche in chiave mista».
A fondamento di tale ricostruzione, secondo la Corte di legittimità, è possibile richiamare anche la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 28/2010, nella quale si legge che la volontà del legislatore è quella di riferirsi ai "rapporti bancari" ovvero ai "contratti di servizi" quali quelli finanziari.
Tutto ciò si allinea, invero, ai principi costituzionali secondo cui i limiti al diritto di agire in giudizio devono essere tassativamente previsti per legge, e di conseguenza le norme che li prevedono devono essere interpretate in termini di stretto diritto.